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Il napoletano: la lingua dell’amore che non sa dire Ti amo.

Una delle massime espressioni della cultura napoletana è certamente la canzone. La canzone napoletana ha nelle sue prerogative principali il lirismo, ossia l’espressione del sentimento amoroso. Eppure c’è un aspetto che spesso ci sfugge a cui non facciamo spesso caso, nella canzone classica napoletana nessuno dice “Ti Amo”.

Provate a pensarci, da Reginella a Te voglio bene assaje, da Caruso a Voce e’ notte, da Torna a Surriento a ‘O Surdat Nnammurato, nessuna contiene le parole “Ti Amo”.

Ma come, la canzone più romantica del mondo, quella degli amori forti, sofferti ed intensi non sa dire Ti Amo? E allora? Gli innamorati napoletani non possono esprimere i proprio sentimenti?

Un motivo c’è, in napoletano diciamo Te voglio bbene, che per noi è la stessa identica cosa.

Ciò non significa che volere bene ad un figlio, ad un amico, ad un gatto o alla propria compagna sono la stessa cosa. La parola è la stessa, ma è il sentimento cambia. L’amore, anzi l’ammore, che provo per un fratello non è meno intenso rispetto a quello che provo per una donna, è semplicemente diverso. Sono due cose impossibili da paragonare. Ti Voglio bene è una espressione di un altruismo straordinario, incarna, il vero senso dell’amare: la generosità. Ti voglio bene significa, voglio il tuo bene. Non riguarda me, ma te. Non importa come sto io, l’importante è che tu stia bene. In questo il napoletano è in buona compagnia, quasi tutte le lingue più parlate al mondo hanno una sola espressione per dire indistintamente ti amo e ti voglio bene. Due esempi su tutti il verbo inglese To Love, e lo spagnolo Querer.

Ma se la persona con cui abbiamo una relazione affettiva non riuscisse a cogliere il senso del nostro volerle bene? Anche per tali dubbi il napoletano ha la sua formula. Il verbo amare esiste nella nostra lingua, ma viene usato quasi sempre in forma riflessiva: Me song annammurato e te. Questa espressione rispetto al ti voglio bene, riguarda noi, il nostro intimo, innamorarsi, è una cosa che avviene dentro di noi. A nulla o a poco conta ciò che provano gli altri, ci si innamora e basta.

Per spiegare meglio questo concetto vi lasciamo ad una canzone napoletana, tra le più belle in assoluto, che se leggiamo attentamente, contiene entrambe le espressioni: Dicitencello vuje.

Dicitencello a ‘sta cumpagna vosta
ch’aggio perduto ‘o suonno e ‘a fantasia…
ch”a penzo sempe,
ch’è tutt”a vita mia…
I’ nce ‘o vvulesse dicere,
ma nun ce ‘o ssaccio dí…

Rit. ’A voglio bene…
‘A voglio bene assaje!
Dicitencello vuje
ca nun mm”a scordo maje.
E’ na passione,
cchiù forte ‘e na catena,
ca mme turmenta ll’anema…
e nun mme fa campá!…

Dicitencello ch’è na rosa ‘e maggio,
ch’è assaje cchiù bella ‘e na jurnata ‘e sole…
Da ‘a vocca soja,
cchiù fresca d”e vviole,
i’ giá vulesse sèntere
ch’è ‘nnammurata ‘e me!

Rit. ’A voglio bene…
‘A voglio bene assaje!
Dicitencello vuje
ca nun mm”a scordo maje.
E’ na passione,
cchiù forte ‘e na catena,
ca mme turmenta ll’anema…
e nun mme fa campá!…

Na lácrema lucente v’è caduta…
dicíteme nu poco: a che penzate?!
Cu st’uocchie doce,
vuje sola mme guardate…
Levámmoce ‘sta maschera,
dicimmo ‘a veritá…

Te voglio bene…
Te voglio bene assaje…
Si’ tu chesta catena
ca nun se spezza maje!
Suonno gentile,
suspiro mio carnale…
Te cerco comm’a ll’aria:
Te voglio pe’ campá!…

L’Isola di Capri

La vellutata eleganza e l’appeal glamour di Capri sono un invito, nemmeno troppo velato, all’edonismo. Difficile non cedere alle lusinghe di un’isola così bella. E comunque i più scettici potrebbero venire ammaliati dal canto delle sirene. Un microcosmo in cui mare, vegetazione, arte e cultura sono in perfetto equilibrio. I dirupi, gli scorci magnifici da scoprire lungo i sentieri, un suolo fertile e vivace, con il verde della macchia, i colori caldi degli agrumeti, i banchi di brillanti buganvillee e poi le ville romane, tracce del passaggio di Ottaviano e del sadico Tiberio, che fece costruire dodici ville e scelse l’incantevole Villa Jovis come residenza. Ma Capri svolta nell’800, con la scoperta della scintillante Grotta Azzurra, un’antica cavità carsica che cela un ambiente spettacolare, quasi surreale, dove la luce che filtra colora tutto d’argento. La voce si sparge e l’isola diventa il faro di artisti, musicisti, scrittori, esteti come John Singer Sargent, Debussy, Thomas Mann, per dire. Più avanti, negli anni Cinquanta e Sessanta, mentre l’Italia intera si leccava ancora le ferite della seconda guerra mondiale, i primi sibariti iniziano ad affollare Capri e a dedicarsi a una vita fatta di lusso, ozio e piaceri, quel lifestyle che in Italia si chiama “dolce vita”. Il glitterato jet-set internazionale sbarca sull’isola: dive del cinema, armatori con mogli al seguito, star di Hollywood. Archivi su archivi di foto d’epoca immortalano Jacky Onassis, Brigitte Bardot, Rita Hayworth con il principe Ali Khan, Ingrid Bergman, Maria Callas e Pablo Neruda. In quel periodo l’economia locale fa passi da gigante: nascono alberghi, ristoranti, locali. E insieme cresce la creatività dei sarti dell’isola, come il maestro Emilio Pucci, e la moda caprese, con i pantaloni a metà polpaccio, i sandali e i gioielli, fa tendenza in tutto il mondo. Da allora, l’isola è avvolta da un fascino che non conosce tramonti.

“Una delle foto più belle e pubblicate di Jackie è quella di lei, a piedi scalzi, per le vie di Capri con una t-shirt e un paio di pantaloni bianchi. Nella sua assoluta semplicità, la quintessenza dell’eleganza.”
(Franca Sozzani)

Ma andiamo con ordine. Principale approdo dell’isola è Marina Grande, da cui partono le escursioni in barca che fanno il giro dell’isola o dirette alla Grotta Azzurra. Capri invece è la località più importante, pittoresca, con le case bianche in tufo coperte da terrazze fiorite, le barche e i mega yacht ancorati al porticciolo, i vicoli stretti stracolmi di boutique, locali e ristoranti esclusivi che hanno soppiantato le attività locali. Ma il fulcro della vita felice è l’iconica piazzetta, salotto buono nel cuore del villaggio, con la chiesa di Santo Stefano, il municipio e tanti eleganti caffè con i tavolini su strada su cui accomodarsi all’ora dell’aperitivo, quando la piazza si trasforma in passerella: è come assistere a una sfilata d’alta moda, con gente in abiti da sera, dal portamento impeccabile. Defilarsi dalla folla comunque è facile: prendendo via Vittorio Emanuele e poi via Camerelle (quella dei negozi griffati), si entra in via Tragara, una tranquilla passeggiata che conduce al belvedere omonimo. Da qui, andando verso est, si snoda un percorso piuttosto impegnativo, su salite e gradinate, che porta alla modernista Villa Malaparte e all’Arco naturale. Oppure, dalla piazzetta, seguendo sempre via Vittorio Emanuele, via Serena e poi via Matteotti, si raggiungono i giardini di Augusto, nei pressi della certosa di San Giacomo, stracolmi di fiori e terrazze dove fermarsi ad ammirare il panorama sui Faraglioni, i tre pinnacoli di roccia che si ergono imponenti nel mare a guardia dell’isola. Da qui, si può scendere sulla sinuosa via Krupp fino a Marina Piccola, piccolo angolo di pace, con una bella baia riparata dal vento. La parte ovest dell’isola è occupata dal promontorio di Anacapri, controparte sobria della sontuosa Capri, ma lo stesso molto frequentata, è un luogo in cui passeggiare con calma tra le strade colorate di gerani. E quando volete tornare a fare i vip, vi basta percorrere gli 881 gradini della Scala Fenicia che conducono direttamente a Capri.

“A Capri incroci un sacco di gente che magari non è famosa, ma lo sembra.”
(Diego De Silva)